PARLAMENTO EUROPEO: Discorso del Presidente David Sassoli in occasione della Giornata internazionale della Memoria dell’Olocausto, 75 anni dopo la liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz.

Bruxelles 29.01.2020 Colleghe  e  colleghi,  Signora  Liliana  Segre,  Signora  presidente della Commissione, commissari, gentili ospiti,

Siamo qui oggi  a ricordare che 75 anni fa si aprirono i cancelli di uno dei luoghi che la memoria degli europei non potrà mai dimenticare.       L’esercito       sovietico       era       arrivato       ad Auschwitz-Birkenau e i cancelli si spalancarono su una fabbrica della morte che con maniacale puntualità e sistematico sterminio provocò oltre un milione e mezzo di morti, e causato sofferenze e dolori indicibili.

Aprire quei cancelli, come tutti gli altri cancelli che si aprirono via via in tutti i campi di sterminio nazisti,   ha mostrato alle generazioni future dove può arrivare l’uomo che perde la propria umanità.

Ma non solo: cosa significhi costruire un nemico per dimostrare di poterlo  annientare;  cosa  può produrre l’odio al servizio di una volontà di potenza incontrollata; fin dove il sadismo possa inquinare  le  nostre  società;  dove  può  portare  l’istinto,  liberato dalla  coscienza,  nell’esaltare  la  soddisfazione di sentirsi proprietari della vita.

Ad Auschwitz, terra europea, quel giorno del 1945 vennero aperti i cancelli dell’abisso.

Perché in quel luogo non bastava distruggere i corpi delle persone, riducendoli in fumo e cenere per cancellare ogni loro traccia passata, presente e futura, ma bisognava in primo luogo annientare la  loro anima: privarli della propria identità, trasformarli in un numero da marchiare sul corpo e usarli, come ricordava la presidente Simone Veil, come degli “stuks”, ovvero dei “pezzi” di materia prima.

Ad Auschwitz è l’essenza stessa dell’umanità ad essere stata messa in dubbio dalla volontà di sterminare il popolo ebraico, e con esso il popolo rom e sinti, gli oppositori, i popoli slavi, gli omosessuali.

Auschwitz è indicibile. Vasilij Grossman, raccontando l’esperienza del   campo   di   concentramento   nel   romanzo   “L’inferno   di Treblinka”, ha scritto: “Nel suo inferno Dante non le vide, scene come queste”.

Ma se l’inferno è riservato ai peccatori, quale peccato si poteva imputare ai bambini, alle donne, a tutti coloro che passarono per il camino o furono torturati, offesi, umiliati, ridotti a pezzi di ricambio?

Ad Auschwitz, si è incarnata la negazione stessa della nostra civiltà. La civiltà che ha origini ebraiche e cristiane, che ha incontrato il mondo islamico, che ha conquistato l’Illuminismo e costruito la propria convivenza sul diritto, che si è battuta contro la barbarie e la difesa della dignità umana, che ha cercato di offrire un’idea della bellezza della persona e delle persone che vivono insieme nella nostre città e nei nostri paesi. Una civiltà che ha
fermato la propria corsa verso il desiderio di libertà sulla soglia del cancello di Auschwitz.

Dinanzi a ciò, quest’oggi, pieni di emozione e riuniti nel raccoglimento, ci inchiniamo davanti a tutte le vittime della Shoah e vogliamo assumerci il nostro dovere di ricordare; ci assumiamo tale dovere perché sappiamo che Auschwitz è stata costruita da europei e noi siamo chiamati ad assumerci questa paternità perché quello che è successo incombe su di noi e ci chiama alla responsabilità.

Quello che è successo è figlio della nostra storia. Perché i nazisti sono usciti dal grembo di mamme buone, da famiglie cosmopolite, da famiglie che celebravano il Te Deum, da padri che educavano allo spirito libero. Figli che non sono stati in grado di reagire, di opporsi e definire la propria responsabilità.

La soluzione finale ha fatto sì che l’inimmaginabile entrasse nell’immaginario; e dimostra che ciò che può essere immaginato, coadiuvato dalle circostanze, può essere portato a incarnarsi.

Auschwitz, con tutte le fabbriche della morte disseminate nello spazio europeo, rappresenta una questione fondamentale della nostra  società,  della  nostra  civiltà,  della  nostra  cultura  e  ci impone degli obblighi.

Ci impone innanzitutto l’obbligo di agire ogni qualvolta vi è un atto di  violenza e discriminazione, tutte le volte che un’azione antisemita e razzista si presenta nelle nostre società. Dobbiamo sempre considerare tutto ciò  un attacco alla dignità delle persone e alla nostra idea di Europa.
E allora ripetiamolo insieme oggi, perché altrimenti non avrebbe senso ricordare la liberazione del campo di Auschwitz: il nazismo e il razzismo non sono opinioni, ma crimini…

Ogni volta che leggiamo sul giornale notizie di violenze, sacrilegi, insulti  noi  dobbiamo  considerare  queste  violenze,  sacrilegi  e insulti  rivolti  a  ciascuno  di  noi.  Sono  attacchi  all’Europa  e  ai valori che essa rappresenta e che incarnano le due malattie della nazione moderna che si propagano nel Continente: da una parte la sacralizzazione delle frontiere e, dall’altra, la ricerca di un’identità pura e univoca – religiosa, etnica e culturale – che conduce inevitabilmente a costruire nemici.

L’Europa al contrario si è formata e vogliamo continui  a formarsi con le   nostre diversità, con   pluralità di voci, con il  pluralismo politico,   religioso,   culturale.   Ed   è   proprio   per   questo   che dobbiamo essere riconoscenti al giudaismo che ci ha consentito  di formare  quello spirito universalista che è parte integrante della nostra visione del mondo.

Nell’Europa che ha conosciuto il male assoluto siamo riusciti
a costruire uno spazio di fratellanza, amicizia, democrazia che non vogliamo  venga violato.  Ecco  perché  ci  rivolgiamo  ai  governi perché usino vigilanza e severità nei confronti di ogni forma di intolleranza.  Non  sono  ragazzate  i  vandalismi  compiuti  nei cimiteri ebraici, gli assalti alle sinagoghe e ai luoghi di culto, le minacce a cui vengono sottoposte famiglie europee di religione ebraica o le forme di intolleranza che colpiscono le minoranze presenti negli Stati membri.

Nei nostri Trattati tutto questo è scritto molto chiaramente e chiediamo alla Commissione europea e al Consiglio di adoperarsi perché ciò venga fatto rispettare. Noi abbiamo una responsabilità
di fronte a questi pericoli. E’ accaduto una volta. Può ancora accadere. Dobbiamo sentire l’impegno per una lucida coscienza storica e   rendere sempre testimonianza veritiera agli eventi che sono accaduti. Per impedire negazioni e amnesie, magari dettate da volgari opportunismi. Ma la nostra coscienza deve essere anche “vigile”, capace cioè di capire, prevenire e intervenire ogni qualvolta si diffondono i semi del male assoluto.

La Shoah, infatti, non sarebbe stata possibile senza la complicità e la  viltà  che  esistevano  allora  in  Europa.  Di  fronte  a  ciò  è necessario “pensare sé stesso come un altro”, come diceva il filosofo Paul Ricœur. L’altro è l’uomo scheletrico di Auschwitz, l’uomo che cammina di Alberto Giacometti, un uomo che si dirige verso un futuro che spera migliore. L’altro è lo straniero che desidera scrivere assieme a noi la storia dell’Europa.

I Giusti, come Jan Karski e molti altri, che rischiando la propria vita hanno salvato degli innocenti dall’abisso, devono essere ogni giorno fonte di ispirazione per le nostre azioni, poiché abbiamo sempre la possibilità di scegliere e il dovere assoluto di non accettare l’indifferenza di fronte ai pericoli dell’antisemitismo, del razzismo e del rifiuto dell’altro.

In definitiva, dobbiamo accogliere l’ingiunzione della Bibbia che troviamo, espressa in modo molto semplice, nel Libro del Levitico (19:16), e di cui riconosciamo la portata etica fondamentale, indipendentemente dall’essere o meno credenti: “Non […] coopererai alla morte del tuo prossimo”.

Questo  presupposto  deve  guidare le nostre azioni e ci invita a conservare la memoria di quanto è accaduto ad Auschwitz e a caricarci  della responsabilità di trasmettere la memoria. Questo
compito, man mano che il volgere inesorabile del tempo farà mancare i testimoni, è affidato alla nostra e alle future generazioni.

Paul Celan in una delle sue poesie scriveva: “Nessuno / testimonia per il / testimone” riferendosi al carattere quasi sacro di quello che un testimone si appresta a dire su qualcosa che ha visto, sentito o toccato, fino ad arrivare all’indicibile.

Noi tutti dobbiamo quindi esprimere la nostra riconoscenza alla senatrice Liliana Segre che è qui tra noi oggi per consegnarci la sua testimonianza.Quando Gilles Deleuze affermava di scrivere “per gli analfabeti”, non  intendeva  dire  che  scriveva “perché gli analfabeti leggessero”, ma che scriveva “al posto degli analfabeti ” di cui si faceva portavoce e testimone.

Allo stesso modo ad Auschwitz e oggi in   quest’aula dove si esprime la democrazia europea, noi testimoniamo per i morti, assumendo il dovere di trasmissione che il loro sacrificio ci ha implicitamente assegnato.Auschwitz è indicibile.  Voglio però credere che la testimonianza di coloro i quali hanno visto l’indicibile riesca a muovere i nostri cuori e a ispirare l’etica delle nostre azioni, affinché ciò non avvenga mai più.