CAMERA: Intervento del Presidente Fico pronunciato alla presentazione della riedizione delle ‘Opere giuridiche’ di Piero Calamandrei

27,11,2019 – Il Presidente della Camera Roberto Fico, dopo il saluto aI Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Rettore dell’Università degli studi Roma Tre Luca Pietromarchi e a tutti i relatori, ha così iniziato il suo discorso, che di seguito riportiamo:

“Considero un onore ospitare qui alla Camera dei deputati la presentazione della riedizione delle Opere Giuridiche di Piero Calamandrei.

Una straordinaria e poliedrica figura di intellettuale, giurista e uomo politico che ha segnato la storia del nostro Paese, in particolare nel ventennio fascista, negli anni della resistenza, e nelle fasi della nascita e del consolidamento della Repubblica.

I suoi insegnamenti mantengono in larga misura intatta lungimiranza ed attualità ancora oggi, a oltre sessant’anni dalla sua scomparsa, soprattutto rispetto al tema dell’attuazione della nostra Carta costituzionale.

C’è una linea che, a mio avviso, unisce il pensiero e l’azione di Calamandrei nell’arco di tutta la sua vita. E che ne rende oggi ancora esemplare la figura.

Questa linea è costituita dalla capacità di combinare la solidità del sapere giuridico con la volontà di metterlo al servizio del Paese. Di far seguire alla coerenza degli ideali una coraggiosa e infaticabile azione a difesa dei diritti fondamentali, della democrazia e della giustizia.

Una linea che ritroviamo anzitutto nella sua attività accademica e in quella di avvocato. Per Calamandrei, il diritto non fu mai limitato alla stretta interpretazione dei testi normativi. A suo avviso il giurista deve mettere in correlazione gli istituti giuridici “ai fini sociali che essi devono raggiungere”. La scienza del diritto – scriveva – se rinuncia ad ogni valutazione critica delle istituzioni vigenti “si condanna ad essere vuota accademia, tagliata fuori dalla vita che è perpetuo movimento”.

Ritroviamo questo approccio nella sua azione di intellettuale e organizzatore culturale, in particolare nell’esperienza del Circolo della cultura fondato nel 1920 a Firenze, insieme ad altre figure di primo piano come Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e i fratelli Rosselli. Circolo che nel dicembre 1924 verrà devastato dai fascisti.

Lo ritroviamo quando nel 1925 firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce ed entra a far parte dell’Unione nazionale fondata da Giovanni Amendola. Quando aderisce al movimento Giustizia e libertà e partecipa alla fondazione del Partito d’azione. Scelte coraggiose che gli costarono nel maggio del 1943 la denuncia per «offese al Duce» e, un conseguente mandato di cattura che lo costrinsero a rifugiarsi in un paesino dell’Umbria fino all’estate del 1944.

La complessità, l’originalità e la coerenza della figura di Calamandrei emergono tuttavia al massimo livello negli anni di impegno parlamentare, prima come membro della Consulta nazionale e dell’Assemblea costituente, poi come deputato della prima legislatura repubblicana.

Il presupposto dell’impegno diretto di Calamandrei nelle istituzioni fu anzitutto la rivendicazione di una rottura netta e ‘rivoluzionaria’ con il regime fascista e monarchico. Una rottura fondata sull’affermazione della sovranità popolare quale principio fondante del nuovo ordinamento democratico.

Principio che considerò incarnato dall’Assemblea costituente, che definì “organo straordinario e sovrano in quanto rappresentante diretto della volontà politica del popolo”. Ai suoi lavori contribuì in modo decisivo, in particolare quale membro della commissione dei 75 incaricata di redigere il progetto della Costituzione.

Un contributo che non fu sempre compreso e che talora lo costrinse alla sconfitta o persino all’isolamento. Nella veste di costituente Calamandrei dovette infatti ricercare – proprio per la sua onestà intellettuale – un difficile equilibrio tra rigore giuridico, passione politica e desiderio di rinnovamento sociale. Formulando a volte proposte che vennero addirittura considerate all’epoca in contraddizione con enunciazioni fatte in scritti scientifici o politici di quegli anni.

Ci sono alcuni punti dell’azione di Calamandrei che riguardano direttamente il ruolo del Parlamento e il sistema di contrappesi costituzionali che credo sia importante richiamare in questa sede.

Il primo attiene alla sua concezione della «legalità in senso sostanziale», e quindi dello Stato di diritto. “Legalità – scriveva Calamandrei – significa partecipazione di tutti i cittadini alla formazione delle leggi; e significa altresì preventiva delimitazione dei poteri del legislatore, nel senso che esso si impegna in anticipo a non menomare con le sue leggi certe libertà individuali («diritti di libertà»), il rispetto delle quali si considera come condizione insopprimibile di legalità”.

Coerentemente con questa visione, Calamandrei contribuì in modo determinante alla configurazione della Corte costituzionale come organo supremo di supervisione e di limitazione anche del potere legislativo.

C’è poi il contributo alle norme della Carta sull’ordinamento giudiziario. Per Calamandrei il sistema giudiziario, e in particolare il processo, dovevano essere ancorati in modo in modo robusto nella struttura dello Stato democratico.

Le norme del processo, le garanzie costituzionali previste, le condizioni di eguaglianza sostanziale delle parti, sono forse per Calamandrei l’espressione massima del rapporto che intercorre tra Stato e cittadino.

Un ultimo aspetto riguarda l’atteggiamento di Calamandrei rispetto al tema della giustizia sociale.

Nei suoi scritti immediatamente precedenti all’istituzione dell’Assemblea, aveva sostenuto che i diritti sociali non dovevano essere considerati un’integrazione dei diritti di libertà, ma necessaria condizione per il loro esercizio effettivo. A suo avviso, infatti, “se vera democrazia può aversi soltanto là dove ogni cittadino sia in grado di […] poter contribuire effettivamente alla vita della comunità, non basta assicurargli teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire”. E per far ciò occorre garantire a tutti “quel minimo di benessere economico”, far sì che le libertà cessino di essere dei “vuoti schemi giuridici e si riempiano di sostanza economica”, ossia che “le libertà politiche siano integrate da quel minimo di giustizia sociale, che è condizione di esse, e la cui mancanza equivale per l’indigente alla loro soppressione politica”.

L’attualità e la pregnanza di queste parole credo siano a tutti evidenti. Ma il merito maggiore di Calamandrei fu quello di affermare con lucidità che “il problema vero non è quello della enumerazione di questi diritti” sociali, quanto quello “di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli, di trovare il sistema economico che permetta di soddisfarli”.

Ecco perché Calamandrei in Assemblea costituente si oppose all’introduzione di norme generiche o programmatiche sui diritti sociali nella Carta costituzionale. Non perché fosse contrario al riconoscimento di questi diritti. Ma perché, da rigoroso giurista, considerava inutile o persino dannoso inserire nella Carta enunciazioni prive di portata normativa e sprovviste di strumenti di attuazione effettiva.

Negli anni successivi alla Costituzione – con un approccio estremamente coerente – Calamandrei arriverà per un verso a esortare il Parlamento all’attuazione degli istituti previsti nella Costituzione attraverso leggi ordinarie, al fine di procedere alle riforme della struttura economica e sociale del Paese. Per altro verso, non esiterà a denunciare la tendenza di alcuni giudici a considerare tutte le norme costituzionali come «meri programmi» non dotati di efficacia immediata […] e a far ricadere tutte le colpe sull’inerzia del legislatore che non provvede”.

In uno dei suoi ultimi interventi, il “Discorso ai giovani sulla Costituzione” sottolineò una caratteristica fondamentale della nostra Costituzione, che è quella che dovremmo costantemente diffondere e ricordare ai giovani: la sua progressività. La nostra – affermò in quel discorso – “non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo”, ma è “una Costituzione che apre le vie dell’avvenire … rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche”.

E ribadì l’esigenza di darle attuazione, altrimenti la Costituzione “rimane un pezzo di carta”; per farla muovere bisogna “metterci dentro l’impegno, la volontà di mantenere le promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza politica”, perché l’indifferenza alla politica apre le porte alla dittatura.

Non a caso quel discorso si appellava ai giovani affinché partecipassero alla vita politica e contribuissero al progresso della società, ricordando loro che “sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica, impegnandosi quotidianamente a costruire la democrazia”.

E si sottolineava – con un’analisi anch’essa attuale – che “la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale“, perché è essa che “crea le coscienze dei cittadini”: che seleziona una classe dirigente “formata dai migliori di tutte le classi, in modo che da tutti gli strati sociali, anche dai più umili, i giovani più idonei e più meritevoli possano salire ai posti di responsabilità”.

Ricordare Calamandrei oggi significa dunque richiamare il legislatore e la politica alla loro funzioni primarie. Che non consistono nella formulazione di proclami, slogan, annunci, e altre vuote semplificazioni comunicative.

Ma sono quelle di attuare in modo concreto la Costituzione, adottando con realismo e senso di responsabilità provvedimenti e misure concrete per garantire i diritti e le libertà previsti dalla Carta, attuando giustizia sociale ed eguaglianza sostanziale.

E per fare ciò – come ci insegna Calamandrei – non basta scrivere le norme ma occorre creare le condizioni anche economiche e culturali perché esse abbiano attuazione effettiva. Ogni cambiamento non può passare da mere enunciazioni programmatiche e nemmeno dalle leggi se non è accompagnato da un mutamento profondo nel sistema sociale e nella mentalità, a partire dai più giovani e quindi dalla scuola.

È una lezione di cui abbiamo più che mai bisogno oggi.”